Silvana La Spina
In una notte d’autunno a Itaca, alla presenza di un’Euriclea muta, mentre al piano di sotto Ulisse vanta le sue imprese agli amici ubriachi, Penelope racconta la sua storia, la parte in ombra della sua vita. Alcune cose sono ben note a tutti – la vita a Itaca, la guerra di Troia, il ritorno di Ulisse e la strage dei pretendenti –, altre, invece, sono destinate a spiazzare il lettore: la violenza subìta dal padre Icario, la gelosia del figlio Telemaco, l’amore appassionato per Cleone di Lesbo. Chi è allora Penelope? Una figura mitologica, consacrata e fissata dalla tradizione? Una donna paziente, fedele, ubbidiente, che attende il ritorno del marito lontano? O è forse qualcosa di irrimediabilmente diverso, un’estranea, una straniera? È proprio in questa piega del pensiero, che si inserisce il racconto di questa Penelope, a cui Silvana La Spina regala la voce. Il suo raccontare o raccontarsi è quello di una donna che vuole liberarsi del pesante fardello del marito. Dare spazio alla propria identità, in un mondo fortemente dominato dalla narrazione maschile. È perciò strazio e furore, passione e ferocia. Reso in uno stile essenziale, e nel contempo arcaico e popolare, presto il mito di Penelope si tramuta sotto i nostri occhi nel tema – anch’esso eterno – della femminilità umiliata. E la voce di Penelope diventa quella di tutte le donne, della loro impotenza, rabbia e ribellione. A quel punto per il lettore sarà impossibile staccarsene: anzi, imprigionato fin dalle prime pagine, la seguirà fino all’imprevedibile finale.