
Enzo N. Girardi
Componimento misto di storia e invenzione", così definisce Manzoni il romanzo storico. Una struttura dualistica, dunque, e un'unità necessariamente dialettica, che nei “Promessi Sposi” coinvolge tuttavia pressoché tutti gli aspetti opera, come si riscontra nelle varie definizioni pur sempre dualistiche, proposte dai maggiori critici: “reale” e “ideale” (De Sanctis), "oratoria" e "poesia" (Croce), "realismo" e "decadentismo" (Moravia), a specchio di una condizione divisa che non è soltanto dell'anima di Manzoni (ricordiamo il "sentire" e il "meditare" del “Carme all'Imbonati”), ma di Leopardi e di tutta la grande letteratura del XIX secolo. Ma se in Leopardi i due termini della dialettica romantica appaiono, sul piano della vita, angosciosamente inconciliabili, Manzoni, con la favola stessa del suo romanzo, propone la loro conciliazione: si tratta di un "matrimonio", certo difficile, che per alcuni "non s'ha da fare", ma per Manzoni è possibile, e necessario, per la vita come per l’arte. Così Renzo, Lucia, Don Rodrigo, don Abbondio e tutti gli altri, maggiori e minori personaggi ricavati dalla storia o frutto dell’invenzione, non sono soltanto espressioni più o meno storicamente e psicologicamente verosimili della società seicentesca nella sua tragica disuguaglianza tra "illustri Campioni... e qualificati Personaggi" e "gente meccaniche e di piccol affare"; né sono soltanto, come pensava Russo, proiezioni del suo mondo etico-storico. Sono innanzitutto - sia nella funzione che l’autore ha loro affidato nel contesto - i simboli dei due termini opposti e pur conciliabili della condiizione dell'uomo moderno: tra il reale, appunto: e l'ideale, la natura e la grazia, l'iniziativa sua propria e la provvidenza di Dio.