Elisabetta Ciancia
Inge ha sei anni e della guerra non sa molto. Sa solo che lei e la mamma stanno fuggendo dalla grande villa veneta dove hanno abitato negli ultimi tempi e dove la madre, che è tedesca, ha lavorato come interprete per il comando della Wehrmacht. Gli alleati avanzano, e con loro i partigiani: Inge, pur senza capirne il significato, avverte che per lei e la mamma - il padre, che era italiano, è morto da anni, i fratelli maggiori sono lontani, irraggiungibili - ciò rappresenta un'oscura minaccia. La colonna militare tedesca in ritirata le lascia in un paese dell'Alto Adige, da cui ha inizio la lunga odissea che le condurrà attraverso l'Italia sconvolta del dopoguerra, dapprima a Napoli, dove con grande stupore di Inge nasce una sorellina, e infine più a sud, nella grande città dei due mari, dove tutto ha avuto inizio. Non hanno più nulla, neppure una vera casa, al benessere di un tempo è subentrata una precarietà appena decorosa. Ora tra madre e figlia si suggella un patto duro e inviolabile che impone di tacere o, se necessario, di mentire sul loro passato. Le menzogne e i silenzi finiscono con l'innalzare attorno a Inge un muro invalicabile che la isola dal resto del mondo. Così la sua esistenza, anno dopo anno, si affaccia a un'adolescenza affannosa e infelice in cui una grande colpa, dai contorni indefiniti e per questo ancora più tremenda, è il sentimento contro cui combattere una privata guerra quotidiana.