Federica Manzon è la prima autrice chiamata a confrontarsi con il tema al cuore de “Il bosco degli scrittori”. Come ormai tutti saprete, in questa collana edita da Aboca e diretta da Antonio Riccardi, il meglio degli scrittori italiani viene invitato, sfidato?, a scrivere un romanzo che abbia al centro la figura dell’albero. Gli approcci sono sorprendentemente diversi, dal memorialistico al fantastico, dall’erudito all’antropologico. Insomma, gli alberi hanno a che fare con il sostrato mitico ed esistenziale, si fanno simbolo o sintomo; per quanto diverse siano le soluzioni, il regno vegetale conferma la sua estraneità, la sua irriducibile alterità ai nostri destini. Ci voleva Federica Manzon, con il suo toccante ma sorvegliatissimo Il bosco del confine, per sparigliare, e per riportare, innervata nella memoria individuale e famigliare, la storia, la grande storia, fin nei recessi del bosco.
D’altronde, non parliamo di un bosco qualsiasi, parliamo della foresta di abeti che copre le pendici del Trebević, la montagna che domina Sarajevo. Un monte “casalingo”, da sempre meta di escursioni e passeggiate per gli abitanti della capitale bosniaca, il monte dell’orgoglio per le Olimpiadi invernali del 1984, quando ancora quelle terre si chiamavano Jugoslavia e in un mondo diviso dai blocchi si pensavano un modello di integrazione e convivenza. Quello stesso monte, nel 1992 verrà strappato alla città e diventerà l’incombente stazione di tiro da dove partiranno i colpi di mortaio che strazieranno la città. E per crudele ironia della sorte, la meravigliosa pista di bob, vanto delle ormai lontanissime Olimpiadi, verrà utilizzata come postazione dai cecchini. Il bosco alto, in mano alle milizie serbe, si tramuterà in un frondoso, silente luogo di morte, il bosco basso verrà spogliato dei suoi alberi dai cittadini di Sarajevo per farne legna da ardere nei lunghi inverni dell’assedio.
È in quella foresta che la protagonista de Il bosco del confine viene portata dall’amico Luka nel corso del suo primo viaggio a Sarajevo, nei giorni dell’inaugurazione delle Olimpiadi, quando ancora il Trebeviç è la benevola presenza di sempre e la pista da bob aspetta immacolata di ospitare la prima gara. Ed è su quel bosco che la protagonista tornerà, più di vent’anni dopo, in cerca di Luka, in cerca di una città che non esiste più, di una storia che è andata in tutt’altra direzione da quella che immaginava la folla cosmopolita e festante dei giorni delle Olimpiadi.
Ma prima del Trebeviç, ci sono altre montagne di casa, le montagne che sovrastano Trieste, la città della protagonista, e le montagne della Slovenia, dove il padre porta la piccola Schatzi a camminare, insegnandole come perdersi e come ritrovare la strada, insegnandole a distinguere funghi e costellazioni, insegnandole la storia e il sogno di una storia migliore, lui studioso e pacifista, a sua volta di origini serbe. Una storia dove, come nei boschi, i confini non esistono.