Della loro avventura coloniale gli italiani non amano granché parlare. E neanche scrivere, se si toglie un Flaiano o un Tobino qua e là, e negli anni recenti i thriller ambientati in Africa Orientale Italiana da Carlo Lucarelli e Giorgio Ballario. Ancor meno poi si parla dei meticci, degli italoeritrei ad esempio. Figli degli italiani, militari e funzionari, commercianti e semplici avventurieri, arrivati sulle coste del Mar Rosso senza famiglia, ne avessero o meno una in patria, e delle donne eritree. Figli perlopiù del madamato: una relazione semimatrimoniale e di fatto non vincolante, che si concludeva alla ripartenza di lui lasciandosi dietro una donna rifiutata dalla sua comunità d’origine e un figlio non riconosciuto come italiano dall’amministrazione coloniale e dallo Stato.
Ne Il colore del nome, appena pubblicato da Solferino, Vittorio Longhi racconta una di queste storie. La sua storia, quella di suo padre e quella della sua famiglia. Il Vittorio protagonista di questo memoir che ha tutta la forza di un romanzo ha rifiutato per tutta la vita di sapere da dove arriva la sua pelle di italiano più scuro, da dove provengono i suoi capelli più crespi. Ancora bambino è stato abbandonato, lui sua madre e sua sorella, dal padre, meticcio come lui, già fuggito da un precedente matrimonio, ingegnere senza laurea, imprenditore senza fortuna, dandy senza soldi. Finché una lontana parente lo contatta per comunicargli che il padre è scomparso in Eritrea, la terra d’origine, dove era tornato per la prima volta da quando se ne era andato in cerca di fortuna all’età di diciotto anni, dopo la morte tragica del suo di padre, meticcio anch’esso, imprenditore e rappresentante ascoltato della comunità degli italoeritrei in cerca di riconoscimento.
Da qui parte il viaggio di Vittorio, dapprima riottoso poi sempre più coinvolto, alla coperta della storia di famiglia e alla scoperta della storia dell’Eritrea, della colonizzazione italiana, violenta e ipocrita come tutte le colonizzazioni – nessuna traccia di “Italiani brava gente” in queste pagine -, di quei figli senza padre e senza patria e di quelle donne, perlopiù ragazzine, usate, abbandonate e costrette a sopravvivere in qualche modo, in qualunque modo, a metà tra due mondi entrambi decisi a ignorarle e rifiutarle.
Ma sia chiaro, Il colore del nome non è solo un memoir, la resa dei conti di un uomo con la propria vicenda familiare: con questo suo esordio narrativo Longhi ci regala un romanzo di notevole tenuta letteraria, per qualità di scrittura e per sapienza di costruzione, per vividezza dei ritratti e per sapienza nel dosare i successivi “disvelamenti”.
Vittorio Longhi è un giornalista e si occupa di esteri e migrazioni, scrive per la stampa italiana (“il manifesto”, “la Repubblica”) e straniera (“The Guardian” e “The International New York Times”); per anni ha formato giornalisti in altri Paesi per conto delle Nazioni Unite. Il suo libro precedente è un saggio, The Immigrant War.
Il colore del nome. Storia della mia famiglia. Cent'anni di razzismo coloniale e identità negate
Vittorio Longhi
SOLFERINO
VAI AL LIBRO- Genere:
- Contemporanea
- Listino:
- € 17.50
- Collana:
- Data Uscita:
- 18/02/2021
- Pagine:
- 0
- Lingua:
- Italiano
- EAN:
- 9788828206057