E va bene, dall’America arrivano valanghe di ottimi, entusiasmanti, travolgenti narratori. Ma i geni veri, i giganti che lasceranno il segno, sono pochi anche lì. E di Jonathan Lethem ce n’è uno solo. Vertiginoso come Don De Lillo ma simpatico come Kurt Vonnegut, complesso come Thomas Pynchon e stralunato come Jerome Charyn, a ogni romanzo Lethem rapisce i lettori e li trascina con sé al cuore della realtà, non rinunciando a farli divertire e a inondarli di cultura. La più alta e inarrivabile come Batman e la Tamla Motown.
Prendete questo nuovissimo Il detective selvaggio, appena uscito da La nave di Teseo. Ci sono una ragazza scomparsa, una quasi zia in cerca di aiuto, un detective privato, oltreché selvaggio. Il detective è selvaggio perché il suo ufficio è nel fondo del fondo della più degradata periferia di Los Angeles, nel mezzo di una distesa di roulotte abitate dal peggio del white trash. Il suo migliore amico è un opossum che dimora nel primo cassetto della scrivania. La giovane scomparsa è un’irriducibile fan di Leonard Cohen e la compagnia con cui forse si è imbarcata è davvero assai pericolosa, neonomadi che vivono nel deserto californiano, personaggi rinselvatichiti che solo il detective selvaggio può sperare di raggiungere e affrontare. Ma questo è solo l’inizio…