Roberto Calasso scrive e dalla sua penna sgorgano mondi. Che hanno a che fare con il nostro, anche se magari appartengono a epoche e latitudini lontane da noi, si tratti dei popoli cacciatori o dell’India dei Veda, della Parigi di Baudelaire, di remoti e dimenticati regni africani o dell’Olimpo e dei suoi divini abitanti. E che nello stesso tempo vivono in un altrove fatto di parole, di interpretazioni, di storie, di storie raccontate un’altra volta, di punti focali inediti e irriducibili a concetti come accademia o divulgazione.
Come nel caso di Il libro di tutti i libri (Adelphi). Calasso ci trasporta nel mondo della Bibbia, libro sacro di una religione dalla forte vocazione narrativa, che fa del distacco e dell’esilio la sua cifra e mette al proprio centro proprio quelle parole, distacco e lontananza – “Va’ via dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre verso il paese che ti mostrerò” dice Dio ad Abramo – che segnano insieme un destino, una promessa e una condanna. Il succedersi dei nomi e dei fatti è turbinoso, spesso sconvolgente. E ogni volta la grazia e la colpa, l’elezione e la condanna appaiono intessute nelle vite dei singoli e della loro stirpe.