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Interventi

Michel Houellebecq

di Giusy Nicosia

Riflettere su quello che siamo può sembrarci normale, fino a quando non esageriamo nel farlo, cadendo in quelle strane elucubrazioni da cui, probabilmente, potremmo non trarne alcun beneficio. In fondo, non sono questi i pensieri che ci danno un significato, giusto? Perché mai dovremmo perdere tempo?

C’è chi, senza alcun dubbio, non sarebbe d’accordo con tali affermazioni, forse per il fatto di essere, per sua natura, sprezzante, ostile, dissacrante ed eccellente provocatore, o forse, semplicemente, osservatore implacabile, sempre pronto a risvegliare le coscienze oppresse da un pensiero sociale, figlio dell’omologazione imperante. Stiamo parlando di Michel Houellebecq, uno degli scrittori più audaci e irriverenti del nostro secolo, proprio per la forza del suo pensiero controverso, ma soprattutto per la sua ostinazione a remare controcorrente, fino a rendersi sgradevole, pur di non tradire la sua coscienza. In Interventi, da poco pubblicato da La nave di Teseo, possiamo farci travolgere, se non abbiamo mai sentito il tocco della sua penna tagliente, o anche solo trasportare, se già abbiamo provato l’ebbrezza delle sue incursioni letterarie, da una serie di suoi testi, versi, editoriali e commenti, tutti appartenenti agli ultimi vent’anni, e in cui lo scrittore francese ci invita a riflettere sulla società in cui viviamo, ma soprattutto, sul modo in cui essa stessa, con le sue regole e le sue conformità, ci condiziona profondamente, attraverso “un progresso che ha ridotto il mondo a un supermercato colmo di imbecillità e derisione”.

«Il politicamente corretto, così com’è diventato, – afferma, l’autore francese, in uno degli scritti contenuti in questa raccolta – rende inaccettabile la quasi totalità della filosofia occidentale. Sempre più cose diventano impossibili da pensare. È spaventoso». Eppure, afferma Houellebecq: «L’unica cosa che non si vede nello specchio è il proprio sguardo». Per il resto, forse potremmo provare ad andare più a fondo, evitando, di “lasciarci intrappolare dalla nostra stessa storia o, più insidiosamente, dalla personalità che pensiamo sia la nostra”.

Dovremmo, così come suggerisce lo scrittore, scavare di più dentro noi stessi, e prendere in ostaggio, o forse per il collo, quel sentimento per cui noi saremmo disposti a mettere in gioco, o meglio sul patibolo, ogni cosa: il desiderio. Quello delle femministe, definite da Houellebecq “amabili stronze”, che le ha condotte, trent’anni dopo, a risultati desolanti; quello di costruire una famiglia, che ci ha solo illusi, a suo dire, di poter esorcizzare, in qualche modo, la nostra “inevitabile” morte: «Non mi sono mai pentito di essermi riprodotto. Si può anche dire che amo mio figlio, e che lo amo ancora di più ogni volta che riconosco in lui una traccia dei miei medesimi difetti. Li vedo manifestarsi nel corso del tempo con un implacabile determinismo, e ne sono felice. Godo senza il minimo pudore nel vedere ripetersi, e di conseguenza perpetuarsi, caratteristiche personali che non hanno assolutamente nulla di apprezzabile, caratteristiche che risultano abbastanza spregevoli; e che, in realtà, non hanno altro merito se non quello di essere le mie. Peraltro, non sono esattamente le mie; di alcune mi rendo conto che sono ricalcate tali e quali sulla personalità di mio padre, quello stronzo fatto e finito; cosa che, stranamente, non toglie nulla alla mia gioia. La quale è qualcosa di più dell’egoismo; qualcosa di più profondo e indiscutibile. Ciò che al contrario mi rattrista, in mio figlio, è il fatto di vederlo mettere in risalto (influsso della madre? Cambiamento dei tempi? puro individualismo?) i tratti di una personalità autonoma, nella quale io non mi riconosco affatto, che mi rimane estranea. Lungi dal meravigliarmene, mi rendo conto che lascerò soltanto un’immagine incompleta e indebolita di me stesso; nel giro di pochi secondi, avverto più nettamente l’odore della morte. E posso confermarlo: la morte puzza».

E se la morte emette ancora un odore troppo fetido e, da essa, così come sentenzia l’autore di Annientare, non abbiamo nulla da guadagnare, a differenza di quello che sostiene la filosofia occidentale, potremmo, al massimo, duplicare fedelmente noi stessi: «Naturalmente, io mi farò clonare appena possibile; naturalmente, tutti si faranno clonare appena possibile. Andrò alle Bahamas, in Nuova Zelanda o alle isole Cayman. Assicurerò ai miei cloni una buona educazione; e alla fine morirò. Morirò senza piacere, poiché non desidero morire. Tuttavia, fino a prova contraria, vi sono obbligato. Tramite i miei cloni, avrò raggiunto una certa forma di sopravvivenza – per nulla sufficiente, ma comunque superiore a quella che mi avrebbero garantito dei figli. È il massimo che la tecnologia occidentale possa offrirmi, sino a oggi».

È meglio non sopravvivere in nessun modo, invece, quando un uomo sacrifica sull’altare del desiderio l’innocenza di un bambino, di cui vorrebbe la sua stessa essenza, trasformandosi, così, nell’essere più mostruoso e più ridicolo del mondo: un pedofilo. Un essere sudicio, vecchio e dall’animo vergognoso, afferma Houellebecq, un uomo che comprende solo alla fine, quando con gioia accoglie la sua cattura, ciò che tutti gli altri da sempre sapevano: quando non si è più desiderabili, non si ha più il diritto di desiderare.

Desideriamo essere eterni, il nostro primo desiderio è essere immortali e, nonostante siamo riusciti, racconta l’autore, a realizzare alcuni dei nostri sogni, come volare, respirare sott’acqua o inventare computer e dispositivi elettromagnetici, troviamo il nostro più grande limite nel corpo: invecchiamo in fretta e scompariamo troppo presto per riuscire a sfruttare pienamente le potenzialità del nostro cervello. Eppure siamo così fortunati, ci vorrebbe quasi suggerire Houellebecq, a essere oggi su questa pianeta, se pensiamo a quanto sia fragile la nostra sopravvivenza in questo universo: i batteri presenti su Marte, di cui oggi abbiamo trovato tracce di quelle che un tempo erano molecole biologiche, non hanno avuto la stessa sorte favorevole per la loro riproduzione, diventando, così, un tentativo di vita sfumato nell’universo. Noi, da quel mancato fallimento, invece, abbiamo eretto costruzioni mitiche o religiose da cui oggi traiamo ancora appagamento.

Per soddisfare i nostri desideri e vincere ogni forma di angoscia, in particolare quella della morte, ci piace soprattutto fare festa: «Lo scopo della festa – racconta l’autore francese – è di farci dimenticare che siamo solitari, miserabili e destinati a morire. In altre parole, di trasformarci in animali. Per cui il primitivo ha un senso della festa molto sviluppato».

Nel suo sogno di vita eterna, Houellebecq si immagina di vivere in una grotta dove ascoltare con calma il rumore del mare, attorniato da creature amiche, senza pulci, uccelli predatori, denaro e lavoro. Qui non esisterebbe mai la noia poiché, sostiene l’autore, la vera felicità sta nella ripetizione: «Non trovo noioso ripetere all’infinito ciò che mi piace fare; mi spingo anche più lontano».

Una delle cose che, probabilmente, ci mostra la realtà senza alcun filtro, sostiene l’autore, è la poesia: «Ho il presentimento che la poesia abbia ancora un ruolo da svolgere: forse come una sorta di precursore chimico. In fondo, se scrivo poesie, è forse innanzitutto per porre l’accento su una mostruosa e totale mancanza (che si può intendere come affettiva, sociale, religiosa, metafisica; e ciascuno di questi approcci sarà ugualmente valido). È forse anche che la poesia è l’unica maniera di esprimere tale mancanza allo stato puro, allo stato nativo». Un’altra cosa che, senza dubbio, ci salva dall’angoscia del vivere, è l’amore: «Credo nell’amore, – afferma Houellebecq – è l’unica cosa di valore che possediamo, meglio di un programma di fitness, meglio dello sport. Magari un giorno il mio sogno di eternità si realizzerà, allora sarò una creatura con gambe, ali o tentacoli, chissà in quale posto. Contrariamente alla maggioranza delle persone, non temo la morte, anzi, invecchiando riscopro la mia giovinezza, a lungo dimenticata, e ogni tanto, quando le cose vanno male, mi rifugio comodamente nel mio lavoro. I miei libri mi garantiscono già una forma d’immortalità».

Michel Houellebecq, romanziere, poeta e saggista francese, ha pubblicato alcune raccolte di poesie e numerosi libri di successo, come Estensione del dominio della lotta, Annientare e Le particelle elementari, con cui ha vinto, nel 1998, il premio letterario francese Prix Novembre e, nel 2002 il premio letterario internazionale IMPAC di Dublino. Con La carta e il territorio si è aggiudicato, nel 2010, il Premio Goncourt. Il libro La possibilità di un’isola (2005) è diventato, nel 2008, un film, diretto dallo stesso autore.

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Michel Houellebecq
LA NAVE DI TESEO
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Genere:
Scienze sociali
Listino:
€ 22.00
Collana:
Le onde
Data Uscita:
04/10/2022
Pagine:
0
Lingua:
Italiano
EAN:
9788834606919