In cinquant’anni di carriera Pupi Avati ha realizzato una quantità impressionante di film, cambiando continuamente genere e spiazzando produttori e spettatori. Ma il suo nome è da sempre legato in modo particolare al sottogenere che ha praticamente fondato e sul quale è tornato più volte nel corso degli anni: il gotico padano o maggiore.
Da La casa dalle finestre che ridono, con cui ha inaugurato il filone, all’ultimissimo Il signor diavolo, passando per Le strelle nel fosso, Zeder, L’arcano incantatore, Il nascondiglio.
Narrazioni caratterizzate da un’attenzione quasi antropologica per la cultura rurale, per i racconti popolari, per la tradizione magico-religiosa del territorio. Elementi che sembrano essere una precisa cifra stilistica.
Da questo punto di vista, si potrebbe quasi azzardare un paragone tra le narrazioni di Avati e il folk horror inglese degli anni ‘60 e ‘70, se non fosse che questa attenzione per la tradizione rurale non riguarda esplicitamente horror e gialli, ma attraversa ogni suo film, ogni singolo genere, dal dramma alla commedia.
Questo è tanto vero nella sua produzione cinematografica, quanto nella sua attività più allargata di narratore. Perché Avati non è solo un immaginifico cineasta. È un ottimo romanziere, che ha scelto di esplorare il gotico maggiore anche in forma letteraria. Il già citato Il signor diavolo (il film), ad esempio, è tratto da un suo romanzo omonimo.
In L’archivio del diavolo, appena pubblicato da Solferino, ritornano le stesse atmosfere di Il signor diavolo, così come luoghi e i personaggi. Torniamo così a Lio Piccolo, paesino nel Polesine dove il funzionario ministeriale Furio Momenté era scomparso in circostanze misteriose. Era il 1952 e stava indagando su un giovane che aveva ucciso un coetaneo sostenendo che si trattasse del Diavolo in persona.
L’archivio del diavolo inizia con una lettera spedita a un editore, accompagnata da un lungo testo in cui sono narrati eventi accaduti nel 1953.
Furio Momenté è riapparso. Fino a poche settimane prima era rinchiuso nel sotterraneo della chiesa di Lio Piccolo, ma ora lavora all’archivio del ministero. Intanto, un nuovo forestiero è arrivato a Lio Piccolo, don Stefano Nascetti, in “fuga” dalla vendetta del questore Carlo Saintjust, a causa di un tradimento e un’offesa mai dimenticati. Ma la vita di paese non è come se l’aspetta. Il prete scopre ben presto un cadavere nel sotterraneo della sua chiesa. Ma Furio Momenté non era sopravvissuto?
Non vogliamo svelarvi altro della trama di L’archivio del diavolo, romanzo dalle atmosfere più noir rispetto ai precedenti, che trascina il lettore in un intreccio vorticoso, lo accompagna in mondo antico e intriso di mistero, nel tentativo di esplorare diverse manifestazione del male.