Donne romane e politica. Un connubio quasi impossibile, nella società romana di stampo patriarcale, che, in età arcaica e repubblicana, riservava alle donne lo spazio della domus. Alle matrone, impegnate in attività domestiche e nell’educazione dei figli al mos maiorum, era tradizionalmente preclusa ogni possibilità di partecipare alla vita della comunità. Solo gli uomini potevano parlare in pubblico, votare, eleggere e farsi eleggere.
Tuttavia, ci fu un periodo della storia romana in cui non solo le donne riuscirono attivamente a dare il loro contributo alla vita politica, ma divennero “le custodi del potere”: quel I secolo a.C. di crisi precedente alla trasformazione della res publica in un principato, segnato da lunghe guerre civili.
Con gli uomini impegnati nelle battaglie in province lontane, talvolta uccisi o esiliati, le mogli, madri, figlie e sorelle di chi deteneva il potere presero in mano le sorti dello Stato.
Così, molte decisioni si spostarono nelle residenze private. Ma non solo. Questa situazione portò le donne a uscire dalla domus e a portare idee e strategie sociali, matrimoniali e finanziarie nei luoghi dell’azione pubblica: il foro, i tribunali, gli accampamenti militari.
Nel suo Le custodi del potere. Donne e politica al tramonto della Repubblica romana ( Salerno Editrice), la prof.ssa Francesca Rohr Vio, docente di Storia romana e Storia delle donne nel mondo romano presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, ci parla di questo nuovo profilo femminile extra mores nato nella Tarda Repubblica, che influenzò la condizione delle matrone di epoca imperiale.