Tutte le famiglie devono vantare almeno una pecora nera. Quella della famiglia Freud si chiama Edward L. Bernays. Figlio del cognato di Sigmund – nel senso che il suo papà era il fratello della moglie, nonché marito della sorella del padre della psicanalisi (chissà lo spasso di Lacan) – il giovane Edward emigra a inizio secolo negli Stati Uniti e praticamente inventa le pubbliche relazioni. Primi clienti, i Ballet Russes di Djagilev e Nijinskij e del tenore Renato Caruso.
Per il suo lavoro inizia a miscelare le riflessioni sulla Psicologia delle folle di Gustave Le Bon e il rivoluzionario lavoro sull’inconscio e i suoi meccanismi dello zio, con cui si era negli anni mantenuto in costante contatto. Il risultato è che proprio a pochi mesi dal Grande Crollo di Wall Street, Bernays scrive un manuale su come orientare l’opinione pubblica, che esce ora in italiano per i tipi di Shake. Il titolo è onestamente diretto e crudamente esplicito: Propaganda, e insegna a vendere e a imporre sul mercato ogni tipo di prodotto, comprese le idee e compresa la politica, che Bernays considera una merce tra le altre. Con il suo manuale, Bernays mostra come influenzare i risultati elettorali e i meccanismi decisionali che stanno alla base della democrazia. E lo fa così bene da avviare una fulgida carriera di spin doctor. A lui si rivolgono la American Tobacco Company, la Dodge, la General Motors, ma anche la associazione degli industriali americani, fieramente avversa al New Deal del presidente Roosevelt. Nel dopoguerra, ispirerà per conto della United Fruit il colpo di stato in Guatemala e a distanza di quasi un secolo, le sue teorie continuano a nutrire la macchina di propaganda del sovranismo internazionale.
Propaganda va letto e studiato, anche perché, come spesso succede, questo libro geniale è insieme il veleno e il suo contravveleno.