Persino chi non ha mai fatto una passeggiata in montagna conosce il nome di Walter Bonatti e ha idea di quali straordinarie imprese alpinistiche sia stato capace in epoche ancora avventurose e assai poco tecnologiche. Bonatti incarna a pieno diritto l’idea platonica di alpinismo, dal Bianco al Cervino, dal K2 al Gasherbrum e al Cerro Torre nel fondo più remoto della Patagonia, ha siglato col suo nome la conquista di vette, l’apertura di vie prima di lui ritenute impossibili. Ma chi era bambino alla metà degli anni Sessanta ricorda anche un altro Bonatti, inseguito di settimana in settimana sulle pagine di “Epoca”, ritagliate e conservate per anni: l’avventuroso esploratore che dato l’addio all’alpinismo estremo inizia a percorrere il mondo in zone ancora malamente segnate sulle carte geografiche.
Un mondo perduto, il capolavoro del reportage che raccoglie questi viaggi, fu il suo ultimo libro “ufficiale” e ora Solferino lo ripropone completo di tutti gli antichi reportage per “Epoca” e degli scritti di viaggio successivi e più recenti, dallo Yukon al Rio delle Amazzoni, dal Ruwenzori all’alto Orinoco, dalla giungla di Sumatra, sulle tracce delle ultime tigri, alla Nuova Guinea, da un polo all’altro passando per Capo Horn e per il Klondike (e le avventure di Bonatti si intrecciavano inevitabilmente con l’origine delle fortune di Zio Paperone!), tra i pigmei del Congo, sulle pendici del vulcano Nyiragongo, e sulle tracce di Herman Melville nelle isole Marchesi.
Quel bambino di metà anni Sessanta ritroverà in queste pagine una sua avventurosa, epica, asciuttamente postsalgariana madeleine. I più giovani scopriranno un grande narratore, e il sapore di un mondo ancora capace di sorprendere, privo di GPS e di Discovery Channel, un mondo in cui, tra un Folco Quilici e un Jacques Cousteau, il documentario naturalistico iniziava a muovere i primi passi e il National Geographic era ancora una seriosa rivista cartacea.