Scheda per scheda un repertorio della canzone italiana dagli anni ’20 alla fine della guerra: a #PDESocialClub parliamo di EIAR EIAR Alalà con Franco Zanetti.
Giovedì 7 marzo alle 18.00 a #PDESocialClub si parlerà di musica e di storia, di canzonette e fascismo, con Franco Zanetti che assieme a Federico Pistone firma EIAR EIAR Alalà. Canzoni alla radio 1924 – 1944 (edito da Baldini + Castoldi), sulle pagine Facebook, Instagram e LinkedIn di PDE, della casa editrice e delle librerie indipendenti che decideranno di condividere la nostra conversazione, nonché su tutti i nostri social.
Franco Zanetti è un critico musicale e dirige da anni Rockol.it, mentre Federico Pistone scrive sul Corriere della Sera di sport e viaggi ma coltiva da sempre una notevole erudizione canzonettistica, che ha riversato nelle 130 schede, ognuna dedicata a una diversa canzone, che sono il cuore del libro. Per il resto, il volume è aperto da una prefazione di Riccardo Bertoncelli (in prestito dal rock, ma a suo agio anche con i telefoni bianchi) e chiuso da una postfazione di Vincenzo Mollica e da una conversazione con Francesco Guccini, che ci riporta alla sua infanzia e alle canzoni sentite in famiglia a Pàvana, tra inni fascistissimi e languori amorosi, in attesa di scoprire Bing Crosby e il jazz e approdare a Dario Fo e Jannacci. A coronamento, un ricco inserto fotografico raccoglie copertine di spartiti d’epoca.
Il periodo preso in esame dalla coppia di autori va dalla nascita della radio – la prima trasmissione è del 6 ottobre del 1924, non molto dopo la presa del potere da parte di Mussolini e dei suoi seguaci – alla fase finale del regime. Ovviamente, nel sommario compaiono non poche canzoni “militanti” a partire dall’Inno a Roma del 1919, musicato nientemeno che da Giacomo Puccini, e adottato con grande convinzione dal fascismo in cerca di solenni investiture neoimperiali. E dopo l’Inno sfilano, letteralmente, Giovinezza (altro brano dalle molteplici vite, prima di approdare all’ufficialità in orbace), il Fischia il sasso che immortala la figura di Giovan Battista Perasso, meglio noto come Balilla, e giù gorgheggiando marziali per tutto il ventennio, fino al Dalmazia che riafferma l’italianità della costa croata ma conoscerà ulteriore slancio con un drastico cambio di fronte, diventando, stessa la musica, cambiate le parole, Valsesia, inno di una delle prime repubbliche partigiane del Nord, all’Inno della X Mas, e alla ancor più truce Le donne non ci vogliono più bene del ’44. Stesso anno, peraltro, della Tammuriata nera che canta la Napoli liberata, disperata e vitale del Malaparte badogliano e dei brown babies – alzi la mano chi non ricorda la trascinante versione della Nuova Compagnia di Canto Popolare.
Resta il fatto che la stragrande parte delle canzoni raccolte da Zanetti e Pistone non ha a che vedere con mobilitazioni di masse ed esaltazioni ideologiche. L’amore, in tutte le sue declinazioni la fa da padrone anche nell’Italia stivalata e aspirante guerriera. L’amore e una notevole vena comico umoristica di stralunata, surreale ispirazione. Si tratta, lo sapevamo e il libro lo conferma, di una produzione musicale di perlopiù felicissima efficacia melodica, di irresistibile memorabilità, di oggi inconcepibile fischiettabilità. Non per caso molte di quelle canzoni sono ancora vive nella memoria canterina della nazione, ricordate e fischiettate, appunto, anche da persone nate molto dopo i decenni inscritti in copertina. E spesso si tratta di gran belle canzoni. Chi non riconosce Perduto amore, che è del ’44 come Le donne non ci vogliono più bene, ma racconta e sceneggia ben altre atmosfere, ben altre desolazioni, la languida Bambina innamorata del 1934, la leziosa Ciribiribin del ’42, l’esotico Tango delle capinere, l’ancor bellissima Parlami d’amore Mariù, che divenne negli anni ’30 un successo internazionale con versioni in francese e inglese e finì persino nella colonna de L’Atalante, il capolavoro di Jean Vigo, regista anarchico.
Ma ancor più sorprendente è la scoperta di tante canzoni d’animo giocoso e umoristico, e spesso sottilmente satirico, come la celebre Bombolo, trascinante rumba che sotto l’apparente nonsense dei testi prende in giro il non marzialissmo girovita del peraltro orrendo gerarca Guido Buffarini Guidi, o l’irripetibile Ziki-Paki Ziki-Pu, talmente sessista e razzista, oltre che delirante, da risultare ascoltabile oggi solo nella folle versione che ne diede un gigantesco Paolo Poli.
Insomma, centotrenta schede e centotrenta scoperte: non abbiamo parlato della canzone napoletana, che continua a sfornare capolavori, né del filone sociale-migratorio, che contempla opere maestre come Miniera del ’27, ricantata ottant’anni dopo da Gianmaria Testa, o l’immortale Ma se ghe penso, che a un secolo dalla sua pubblicazione fa ancora piangere qualsiasi genovese ovunque si trovi. Di quel ventennio, tra ridicolo e tragedia, repressione e violenza, guerra e miseria non rimpiangiamo proprio nulla. Ma quell’Italia canterina, ignara di ogni autotune a venire, riserva ancora parecchie sorprese.
Di tutto questo parleremo giovedì sugli schermi di #PDESocialcClub con Franco Zanetti. Non mancate!
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Sopra, il Trio Lescano nel 1938.